Anche oggi continuiamo con la nostra serie di post dedicati al divorzio e alle sue implicazioni sul piano giuridico. Lo facciamo trattando un argomento che molto spesso da adito a diversi dubbi e punti interrogativi tra i coniugi che si accingono a divorziare: quello del mantenimento dei figli.
A chi spetta versare l’assegno di mantenimento e in che misura?
A quanto ammonterà il contributo mensile?
Anche i figli maggiorenni hanno diritto al mantenimento?
Nel nostro articolo di oggi, senza voler essere esaustivi, cercheremo di dare una risposta a tutte queste domande.
Divorzio e mantenimento dei figli minorenni
L’art. 276 cpv. 2 del Codice civile dispone che i genitori provvedano in comune al mantenimento dei figli minorenni in base alle loro possibilità.
Questo principio non viene meno con il divorzio: l’obbligo di mantenere i figli minori non dipende infatti né dallo stato civile dei genitori, né dall’esercizio dell’autorità parentale, dall’affidamento o dal diritto di visita. Anche dopo il divorzio, entrambi i genitori devono continuare a provvedere al mantenimento dei figli, ognuno in base alle proprie disponibilità.
Poco importa, ad esempio, se i figli minori vengono dati in affidamento esclusivo a uno dei due genitori, o se soltanto un genitore esercita l’autorità parentale: l’altro sarà in ogni caso chiamato a versare un contributo di mantenimento proporzionato alla sua capacità contributiva.
L’ammontare del contributo di mantenimento a favore dei figli minori viene stabilito dal Pretore caso per caso. In proposito, questi gode di un ampio margine di apprezzamento, che gli consente di valutare ogni situazione concreta alla luce delle sue specificità, come l’effettivo fabbisogno del figlio, lo stile di vita e la capacità contributiva dei genitori.
D’altra parte, l’art. 285 del Codice civile sancisce dei princìpi generali di cui il Pretore terrà dovuto conto per prendere una decisione in merito. Nello specifico, l’articolo del CC prevede che il contributo di mantenimento debba essere commisurato a:
I bisogni del figlio. In proposito, è possibile fare riferimento alle note tabelle di Zurigo, che forniscono una stima delle varie spese che occorre affrontare per provvedere ai bisogni di un figlio nei suoi diversi stadi di sviluppo. Il Pretore ha tuttavia la facoltà di applicare dei correttivi, in considerazione dello stile di vita e della situazione economica della famiglia.
La situazione e le risorse economiche di ciascun genitore. Da notare che il reddito preso in considerazione dal Pretore può anche essere superiore a quello effettivo se questi ritiene che uno o entrambi i genitori possano ragionevolmente incrementare i loro guadagni, ad esempio aumentando la percentuale di impiego o aspirando a un lavoro meglio retribuito.
I redditi e la sostanza del figlio. In linea di principio, il figlio minorenne è tenuto a provvedere al suo mantenimento impiegando fino a un terzo dei redditi di cui dispone personalmente.
La partecipazione del genitore non affidatario alle cure del figlio, ad esempio se questi gode di un diritto di visita particolarmente esteso e il figlio minore trascorre di conseguenza molto tempo con lui o lei. Questo principio si applica anche al caso in cui l’affidamento è congiunto.
Inoltre, il minimo vitale del genitore tenuto a versare il contributo di mantenimento deve essere sempre garantito.
Al fine di determinare l’ammontare del contributo di mantenimento, occorre infine considerare i costi di accudimento che deve affrontare il genitore che tiene in custodia il figlio minore.
A questo proposito, dobbiamo sottolineare che la riforma in materia di mantenimento del figlio minorenne del 2017 ha introdotto un’importante novità: se in precedenza venivano considerati unicamente i costi diretti (ovvero quelli derivanti dall’accudimento da parte di terze persone, come ad esempio la retta dell’asilo nido o lo stipendio di una baby-sitter), dall’entrata in vigore della riforma si tiene conto anche dei costi di accudimento indiretti, cioè di quelli derivanti dal fatto che, dovendo occuparsi del figlio minore, la capacità lavorativa del genitore che ne detiene la custodia risulta limitata.
In linea di principio, l’obbligo di mantenimento resta in vigore fintanto che il figlio non raggiunge il diciottesimo anno di età (art. 277 cpv. 1 CC). Tuttavia, se, raggiunta la maggiore età, il figlio non ha ancora una formazione appropriata, i genitori, per quanto si possa ragionevolmente pretendere da loro dato l’insieme delle circostanze, devono continuare a provvedere al suo mantenimento fino al momento in cui una simile formazione possa normalmente concludersi (art. 277 cpv. 2 CC). Generalmente, si ritiene che l’obbligo di mantenimento possa continuare a sussistere per i figli maggiorenni agli studi quando la situazione economica del genitore tenuto a versare il contributo permette a quest’ultimo di godere di un supplemento di almeno il 20% rispetto al suo fabbisogno minimo.
Occorre inoltre considerare che per l’art. 276 cpv. 3 CC, i genitori sono liberati dall’obbligo di mantenimento nella misura in cui si possa ragionevolmente pretendere che il figlio vi provveda da sé con il provento del suo lavoro o con altri mezzi.
Per giurisprudenza, la capacità economica dei figli va considerata quand'anche i genitori abbiano mezzi sufficienti. Il figlio maggiorenne deve quindi provvedere alla sua formazione facendo capo in primo luogo ai propri elementi di reddito. Dandosi il caso, gli si può imputare un reddito ipotetico, sempre che tale introito possa essere effettivamente conseguito, tenuto conto della formazione, dell'età, dello stato di salute del ragazzo e della situazione in cui versa il mercato del lavoro.
La giurisprudenza ci indica inoltre che l'obbligo di mantenimento dipende anche dalle relazioni personali tra genitore e figlio. Nell’ipotesi in cui la mancanza di rapporti sia riconducibile al solo comportamento del figlio, il contributo di mantenimento può essere negato. Particolare riserbo si impone tuttavia ove il comportamento del figlio si riconduca a un divorzio conflittuale dei genitori. Se nondimeno, dopo la maggiore età, il figlio persiste nel respingere il genitore non affidatario che si è comportato correttamente verso di lui, ciò gli va ascritto a colpa.
Nel post di oggi abbiamo passato in rassegna i princìpi che regolano il mantenimento dei figli, minorenni e maggiorenni, in caso di divorzio. Il quadro si presenta piuttosto generico proprio perché, come abbiamo visto, il Pretore gode di una grande discrezionalità, che gli permette di stabilire l’ammontare del contributo tenendo conto di tutte le specificità di ogni singolo caso.
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Quando si decide di divorziare, occorre sistemare tutta una serie di questioni relative alla vita matrimoniale. Tra queste vi è anche l’assegnazione della casa coniugale, che molto spesso è oggetto di dubbi e contrasti.
Di cosa tiene conto il Pretore per prendere una decisione in caso di disaccordo tra i coniugi?
Nell’articolo di oggi vedremo di fare un po’ di chiarezza su questi aspetti, spiegando cosa prevede il nostro Codice civile e quali sono i princìpi che si sono affermati attraverso la giurisprudenza. Premettiamo subito che nella pratica molto dipende dalla situazione concreta: il Pretore gode infatti di un ampio margine di apprezzamento, che gli consente di ponderare, caso per caso, gli interessi di ciascun coniuge e dei figli, in particolare se minorenni.Nel divorzio consensuale, saranno gli stessi coniugi ad accordarsi su chi dei due continuerà a vivere nell’abitazione familiare e a quali condizioni. Dovranno ad esempio stabilire come dividersi i costi relativi al canone di locazione e alle spese accessorie, ma potrebbero anche decidere di disdire l’attuale contratto di locazione e di trovare entrambi una nuova sistemazione.
Quando invece i coniugi vivono in una casa di proprietà, essi dovranno accordarsi su un’eventuale compensazione a favore del coniuge che lascerà l’abitazione, o ancora potrebbero decidere di mettere in vendita l’immobile e di dividere poi il ricavato tra loro (se la casa è di proprietà di entrambi ed entrambi hanno contribuito finanziariamente all’acquisto).
Qualunque sia la loro decisione, l’accordo che avranno raggiunto verrà inserito nella Convenzione di divorzio. In proposito, ricordiamo che il Pretore verificherà che nella detta Convenzione non vi siano delle manifeste iniquità, nel qual caso potrebbe decidere di rivederne alcuni aspetti. Per quanto riguarda l’assegnazione della casa coniugale, ciò potrebbe verificarsi ad esempio se lo imponesse la tutela dell’interesse dei figli minori.
Quando invece i coniugi non riescono a trovare un punto d’incontro riguardo all’assegnazione dell’abitazione famigliare, spetta al Pretore prendere una decisione. Per farlo, si baserà su una serie di criteri che si sono affermati in giurisprudenza. Vediamo quali sono i principali:
Innanzitutto, il Pretore terrà conto di quale dei due coniugi trarrebbe maggiore beneficio dall’assegnazione della casa coniugale. In sostanza, valuterà a chi dei due il diritto di abitarvi sarà più utile, tendendo a privilegiare ad esempio il coniuge a cui verrà affidata la custodia dei figli minori. Per quanto possibile, a questi ultimi dovrebbe essere infatti garantito il diritto di restare nella casa in cui sono cresciuti, a stretto contatto con i loro affetti e l’ambiente a cui sono abituati. Altri criteri di valutazione possono riguardare le esigenze professionali e di salute di ciascun coniuge. Ad esempio, se uno dei due dovesse presentare una disabilità e la casa coniugale fosse stata predisposta di conseguenza, il Pretore potrebbe decidere di assegnarla al coniuge disabile.
Se la valutazione del criterio dell’utilità non dovesse risultare sufficiente per arrivare a prendere una decisione, allora il Pretore cercherà di stabilire chi dei due coniugi potrebbe affrontare più facilmente un trasloco alla luce dello stato di salute, dell’età e dell’attaccamento al luogo di domicilio.
Infine, se anche la presa in considerazione del secondo criterio non consentisse di giungere a una decisione, a quel punto il Pretore potrebbe tenere conto di chi tra i due coniugi sia il proprietario dell’abitazione o il beneficiario di altri diritti d’uso sulla stessa.
Questi sono fondamentalmente i tre criteri che aiutano a stabilire a quale dei due coniugi vada assegnata l’abitazione familiare. Ce ne sono anche altri di cui occorre tenere conto? E come viene regolata la ripartizione delle spese relative all’abitazione familiare? Nei prossimi paragrafi cercheremo di dare una risposta a queste domande.
Il regime matrimoniale non costituisce in linea di principio un criterio per decidere sull’assegnazione della casa coniugale. Ne consegue che il Pretore potrebbe stabilire di assegnare l’abitazione familiare al coniuge non proprietario sulla base dei primi due criteri che abbiamo visto nel paragrafo precedente, e questo anche se i coniugi hanno scelto il regime della separazione dei beni.
Questo significa che l’abitazione familiare può essere assegnata al coniuge non proprietario?
Esatto. Nel caso in cui la casa coniugale sia di proprietà di uno solo dei due coniugi, il Pretore potrebbe decidere di concedere il diritto di abitazione al coniuge non proprietario. In merito, occorre però fare alcune precisazioni alla luce di quanto stabilito dall’art. 121 cpv. 3 del Codice civile. Ecco cosa prevede:
la durata del diritto di abitazione deve avere una durata limitata;
il coniuge proprietario deve ricevere un’indennità che possa considerarsi adeguata, che può anche consistere in una riduzione del contributo di mantenimento che è eventualmente tenuto a versare.
Sempre secondo l’art. 121 cpv. 1 e 2 del Codice civile, il Pretore può decidere di assegnare la casa in locazione a uno solo dei due coniugi (mediante trasferimento del contratto di locazione), tendendo a prediligere colui che terrà in custodia i figli dopo il divorzio. Questa decisione può essere presa a condizione che risulti sostenibile per l’altro coniuge.
In linea di principio, il coniuge che dovrà lasciare l’abitazione in affitto risponderà solidalmente del pagamento del canone di locazione fino alla scadenza del contratto, ma in ogni caso per una durata non superiore ai due anni.
Nello stabilire a chi dei due coniugi assegnare la casa coniugale, il Pretore tiene conto in primo luogo dell’interesse dei figli minori. Non è però da escludere che possa considerare anche gli interessi dei figli già maggiorenni, in particolare se sono ancora agli studi. Va comunque sottolineato che i figli maggiorenni possono in linea di principio decidere liberamente con quale dei due genitori continuare ad abitare dopo il divorzio e dove risiedere. Pertanto, in questo caso è più facile che le parti in causa riescano a trovare un accordo tra loro senza che debba intervenire l’autorità giudicante.
Nel post di oggi abbiamo parlato di assegnazione della casa coniugale in caso di divorzio e abbiamo visto quali sono i criteri presi in considerazione dal Pretore per prendere una decisione in tal senso.
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Ma come si calcola la divisione per metà del secondo pilastro? Vediamo un esempio molto semplice per capire meglio.
Luca e Simona si sono sposati quindici anni fa, subito dopo aver terminato gli studi universitari. Prima e durante gli studi i medesimi non hanno mai esercitato un’attività lavorativa dipendente, nessuno dei due ha quindi accumulato averi del secondo pilastro al di fuori del matrimonio. Una volta sposati, Simona e Luca hanno entrambi trovato un lavoro a tempo pieno. Tuttavia, Simona ha deciso di ridurre la sua percentuale di impiego al 50% dopo la nascita del secondo figlio, mentre Luca ha continuato a lavorare al 100%. Il risultato è che, nel corso degli anni, Simona ha versato meno contributi alla sua cassa pensione rispetto a Luca. Al momento dell’inoltro della domanda di divorzio, la situazione si presenta come segue:12.2015 ad oggi: Fondazione e direzione di Assistenza Legale e collaborazione con Swissfable Sagl in ambito di compravendita di attività commerciali; |
09.2015 – 11.2015: Alunnato presso la Pretura penale, Bellinzona; |
08. 2015 – 08.2015: Alunnato presso il Tribunale penale cantonale, Lugano; |
01.2014 – 07.2015: Consulenza legale indipendente e collaborazione con Swissfable Sagl in ambito di compravendita di attività commerciali; |
07.2013 – 12.2013: Alunnato giudiziario presso la Pretura civile di Bellinzona; |
2012 – 06.2013: Pratica legale presso un noto Studio legale del luganese; |
02.2012: Master in diritto con doppia orientazione (professioni giudiziarie e diritto della salute e delle biotecnologie), menzione: cum laude; Tesi in ambito dell’assicurazione contro gli infortuni (LAINF): L’accident: cadre historique-juridique, notion et cas particuliers; |
01. 2012 – 10. 2012: Corso giuristi praticanti 2012 presso il Centro di Studi Bancari di Vezia; |
2010: Esami d'ammissione al Master in diritto presso l’Università di Neuchâtel; |
2009: Bachelor in diritto all'Università dell’Insubria. Tesi in ambito del diritto del lavoro: Fine del rapporto di lavoro: cause, conseguenze e garanzie in comparazione tra l’organizzazione giuridica svizzera e quella italiana. |
Maturità liceale, ind. economico, Lugano; Scuole elementari e medie, Agno. |
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Qualora richiesto, il giurista vi fornirà un preventivo per la trattazione del vostro caso.DOMANDA/E: sulla base della premessa e dei fatti indicati, precisare la/le domanda/e oggetto della consulenza; |
FATTI rilevanti: indicare tutti i fatti, le circostanze, gli avvenimenti che sono connessi alla fattispecie oggetto della domanda; |
PREMESSA introduttiva: indicare il contesto generale in cui si colloca la domanda, inquadrando la problematica. |